I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna, al termine di un controllo in materia di finanziamenti alle piccole e medie imprese garantiti dallo Stato ai sensi dell’articolo 13 del “Decreto Liquidità” n. 23/2020, hanno proceduto ad eseguire un decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Ravenna, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di tre soggetti, ora indagati per indebita percezione di erogazioni pubbliche e truffa aggravata a danno dell’Istituto di Credito erogante.

Il decreto è stato emesso a seguito delle indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ravenna, che hanno preso avvio da alcune segnalazioni per operazioni sospette che evidenziavano movimenti anomali sui conti di un’azienda ravennate operante da vent’anni nel settore delle forniture per ristoranti e alberghi, beneficiaria a giugno 2020 di un’importante finanziamento pari a 840.000 euro, ottenuto con la procedura semplificata prevista dalla normativa emergenziale a beneficio delle imprese in crisi di liquidità per l’emergenza da Covid-19.

In effetti dagli accertamenti bancari eseguiti emergeva un’attività di svuotamento continuo delle casse aziendali a beneficio, diretto ed indiretto, di due soggetti da poco subentrati nella compagine sociale attraverso un passaggio di quote risalente al mese di agosto 2020, cioè solo due mesi dopo l’ottenimento del finanziamento pubblico.

Nel contempo l’ex socio unico dell’impresa presentava al Gruppo della Guardia di Finanza di Ravenna una formale denuncia in cui lamentava di essere stato raggirato da presunti consulenti aziendali che lo avrebbero prima indotto a richiedere il finanziamento agevolato per poi rilevare le quote societarie di sua proprietà, senza però pagarne il prezzo. Anzi, appena acquisita formalmente la titolarità della società, i due consulenti avrebbero cambiato repentinamente atteggiamento, estromettendolo di fatto dalla gestione commerciale, contrariamente agli accordi presi.

Mettendo insieme gli elementi indiziari emersi dai conseguenti approfondimenti investigativi emergeva, dunque, come, secondo la tesi accusatoria, l’ottenimento del finanziamento Covid fosse stata solo una parte di un più esteso disegno delittuoso, ricostruito puntualmente dallo stesso G.I.P. procedente, secondo cui il precedente legale rappresentante e socio unico dell’impresa formalizzava una richiesta di finanziamento basata su dati contabili falsi al fine di dimostrare una situazione di crisi dovuta all’emergenza sanitaria, in realtà inesistente, e di ottenere il valore massimo finanziabile, per poi divenire lui stesso vittima di una truffa da parte dei consulenti aziendali che lo avevano indotto a richiedere il prestito, i quali lo allettavano a cedere loro le quote della società così rimpinguata di liquidità, promettendogli un prezzo sicuramente soddisfacente, ma poi non onorato.

Anzi dai controlli successivi emergeva che l’acquisto della società finanziata, che aveva una liquidità di cassa complessivamente superiore al milione di euro, era stata operata attraverso una società bolognese con un capitale sociale sottoscritto ma mai versato e a sua volta controllata da una società bulgara non patrimonializzata: in pratica, attraverso due scatole vuote su cui sarebbe stato impossibile rivalersi.

Nel frattempo i nuovi soci provvedevano a svuotare la cassa sociale giustificando contabilmente le uscite con pagamenti a fornitori in realtà non registrati in contabilità, con l’acquisto di partecipazioni in società, anche queste inesistenti o ancora con bonifici verso la controllante o con distribuzione di ipotetici dividendi.

Ora, però, sia l’ex amministratore, che ha formalmente richiesto il finanziamento, che i due consulenti, che hanno poi rilevato la società, dovranno rispondere dell’ipotesi di reato di illecita percezione di erogazioni pubbliche e di truffa aggravata a danno della banca che ha materialmente erogato il prestito.

I due nuovi soci, subentrati nella gestione sociale, sono inoltre accusati di truffa aggravata nei confronti dell’ex legale rappresentante, mentre solo uno dei due, l’attuale amministratore unico della società, è accusato anche di false comunicazioni sociali e di autoriciclaggio.

Il sequestro preventivo eseguito dalle Fiamme Gialle ravennati ha quindi riguardato € 540.000 circa di disponibilità finanziarie rinvenute sui rapporti bancari personali e delle società riconducibili ai tre indagati, nonché € 300.000 circa in immobili e terreni.

La presente operazione testimonia il costante impegno dell’Autorità giudiziaria e della Guardia di Finanza, in ragione delle sue peculiari prerogative di forza di polizia economico – finanziaria, nel garantire la corretta distribuzione delle risorse pubbliche stanziate per le imprese in difficoltà e nel contrastare nel contempo l’infiltrazione nell’economia sana di soggetti che acquisiscono la titolarità di imprese al solo fine di depredarne il patrimonio distraendolo a fini personali con conseguente danno per i mercati e per il tessuto economico locale.