Lettera aperta inviata all’Ente per i Parchi e la Biodiversità-Romagna, al Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola e alla Regione dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna.
“Con questa lettera chiediamo all’Ente di esprimere il proprio parere in merito alla distruzione della Vena del Gesso ad opera della Cava di Monte Tondo; di essere coerente con gli scopi assegnategli dalla legge ovvero: “la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio” in particolare “delle forme ed emergenze geologiche e geomorfologiche”; di fare rispettare le norme di tutela, ora violate, e di respingere ogni forzatura applicativa, delle leggi di tutela, che siano  in contrapposizione con i fini stessi del Parco o peggio ancora di escludere l’area di cava dalle norme di conservazione quali Sito di Rete Natura 2000 nonché dall’area contigua e zona B del Parco stesso.
Dovrebbe essere evidente a tutti che la cava prima o poi deve chiudere. E’ oggi il momento per programmare, nel tempo;  tale cessazione come raccomandato dell’ultimo studio voluto dalla Provincia di Ravenna, dai Comuni di Casola Valsenio e Riolo Terme finanziato dalla Regione.”, – spiega il presidente Fsrer Massimo Ercolani.
Ecco il testo integrale della lettera aperta: 

“Come FSRER abbiamo più volte evidenziato all’Ente per i Parchi e la Biodiversità – Romagna (da ora Ente), alla Comunità del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola (da ora Parco) e alla Regione la necessità di chiudere l’ultima cava ancora attiva nella Vena del Gesso romagnola, cioè quella di Monte Tondo, cosi come è avvenuto per tutte le cave nei gessi dell’Emilia-Romagna presenti all’interno di aree protette. Con questa lettera aperta vogliamo porre di nuovo all’attenzione dell’Ente, del Parco e della Regione EmiliaRomagna quella che si configura come la più grave emergenza ambientale nella Vena del Gesso una delle più gravi emergenza ambientali del territorio regionale ovvero la distruzione ad opera della cava di Monte Tondo nella Vena del Gesso romagnola stessa.

Sino ad oggi l’Ente e il Parco non si sono espressi rispetto ad un ulteriore distruzione dell’ambiente a seguito dell’eventuale ampliamento della cava di Monte Tondo. Oggi la salvaguardia della Vena del Gesso, dell’ambiente naturale e del patrimonio culturale, è il massimo problema dell’Ente. Ebbene, se da una parte colpisce la persistente cecità e l’insipienza delle amministrazioni locali disponibili ad ulteriore distruzione dell’ambiente, dall’altra riteniamo che il silenzio di chi dirige l’Ente non sia più giustificato, ma soprattutto che l’Ente non svolga le funzioni che gli sono state assegnate dalla Legge Regionale 21 febbraio 2005, n.10 “Istituzione del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola.” e sia coerente con le proprie finalità che di seguito vogliamo ricordate: “… la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio, delle specie floristiche e faunistiche, delle associazioni vegetali, delle zoocenosi e dei loro habitat, dei biotopi e delle formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche di interesse scientifico, didattico e paesaggistico…” È irrefutabile il grande “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico/speleologico, naturalistico, paesaggistico ed archeologico” che forma la Vena del Gesso romagnola come riconosciuto dal Comune di Casola Valsenio, Riolo Terme e Provincia di Ravenna. È incontestabile che le dimensioni della cava sono ormai tali da renderla non più compatibile con la Vena del Gesso. La cava è, per definizione, un’attività non illimitata: non esiste, del resto, attività estrattiva sostenibile, essa rappresenta da sempre una delle cause di degrado ambientale a maggiore impatto in quanto modifica in modo irreversibile la morfologia dei luoghi, e nel caso, “delle formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche”. La cava non potrà durare sine die altrimenti dopo Monte Tondo verrà distrutto Monte della Volpe e sui versanti nord/est e sud/ovest, e parte della Valle Cieca del Rio Stella. Priamo o poi la cava dovrà chiudere e oggi è il momento di programmare definitivamente la cessazione dell’attività estrattiva. Serve un cambio di paradigma culturale. Affermare che l’attività estrattiva sia compatibile con l’ambiente significa semplicemente mentire. È ormai insostenibile, in nome della valorizzazione economica e della messa a reddito del territorio, un ulteriore consumo e distruzione della Vena del Gesso, distruzione che di fatto determina anche un danno economico. Sostenere che la distruzione di una ulteriore porzione della Vena del Gesso permette la produzione di prodotti utili all’ambiente non è altro che un pretesto per giustificare la distruzione irreversibile del paesaggio. Pensare, ancora oggi, che la natura sia una sorta di mezzo di produzione, da sfruttare in modo indiscriminato è una grave arretratezza. Sostenere poi che un’ulteriore distruzione della Vena del Gesso sia necessaria per le esigenze economiche e alle necessità locali è un’arretratezza culturale che fa del ricatto occupazionale e sociale la leva per giustificare la distruzione dell’ambiente, in questo modo senza salvare né l’uno né l’altro. È assurdo sostenere che vi sono esigenze oggettive che giustificano la distruzione del patrimonio ambientale quando invece è solo la conseguenza di politiche sbagliate di ieri e che oggi sono diventate intollerabili. Al contrario serve progettare una economia che cessi la irrimediabile violenza sull’ambiente. È ormai evidente che se le amministrazioni non saranno capaci di rispettare l’ambiente come un valore da salvaguardare con ogni sforzo, saranno alla fine negativi anche i conti economici. Pensavamo che questo fosse stato compreso 21 anni fa quando come abbiamo più volte scritto già all’inizio degli anni 2000 si era posto il problema di chiudere la cava e fu stabilito un limite massimo di espansione, raggiunto il quale doveva terminare la potenzialità del giacimento e conseguentemente cessare l’attività estrattiva. Nonostante i molti anni a disposizione le amministrazioni che si sono succedute e le comunità locali non si sono preoccupate di chiedere e sostenere la necessaria riconversione dell’attività produttiva in grado di salvaguardare gli aspetti occupazionali e sociali conseguenti alla chiusura del polo estrattivo e così cessare la distruzione irreversibile del paesaggio. Ribadiamo che ritenere la distruzione dell’ambiente una risposta alle necessità locali è il segno di un diffuso degrado culturale che considera il paesaggio prevalentemente un bene di consumo da sfruttare e ciò è causa prima di tanti disastri ambientali estesi globalmente. Essere coerenti con le finalità assegnate al Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola è la vera sfida dell’Ente e del Parco il salto culturale che ci aspettiamo. Le legge però impone anche un vero e proprio obbligo “L’Ente di gestione del parco vigila sulla tutela degli elementi naturali”. E questo deve farlo in base più norme vigenti che ricordiamo essere:

• art. 136 del Dlgs n. 42/2004, a conferma del D.M. del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 12/12/1975 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona di Monte Mauro, Monte TondoMonte della Volpe.

• zona speciale di conservazione della rete “Natura 2000” (Direttiva n. 92/CEE “Habitat”, recepita in Italia con D.P.R. n. 357/97. Sito della rete Natura 2000 ZSC/ZPS IT4070011 (Dir. 92/43/CEE e Dir. 09/147/CE)

• DECRETO 17 ottobre 2007. Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS). IL MINISTRO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE. Art. 5. Criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione per tutte le ZPS.

Va poi considerato che ai sensi della L.R. n. 10/2005 che ha istituito il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, l’area della cava di Monte Tondo è “area contigua”. Per tale zona, l’art. 6 comma 7 prevede: “Nell’area contigua si applicano le norme degli strumenti urbanistici comunali vigenti fatta eccezione per le seguenti attività che sono vietate: a) l’accesso non regolamentato alle grotte e alle cavità naturali; b) la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo; c) la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei; d) l’eliminazione delle siepi e della vegetazione di ripa di torrenti e fossi; e) la conversione dei prati seminaturali e dei pascoli nelle sole aree calanchive”. Quanto stabilito dalle lettere b) e c) è preciso e non interpretabile, a meno delle previsioni del Piano Territoriale (al momento non disponibile) che, rispetto alle attività estrattive è normato dall’art. 25, comma 5 della L.R. n. 6/2005: “Nelle zone A, B, C e D è vietata l’apertura di miniere e l’esercizio di attività estrattive anche se previste dalla pianificazione di settore. Nelle aree contigue dei Parchi si applica il medesimo divieto fatta salva la possibilità del piano territoriale del Parco di prevedere attività estrattive, da attuarsi tramite piani delle attività estrattive comunali, esclusivamente se la gestione e la sistemazione finale delle aree interessate è compatibile con le finalità del Parco ed in particolare contribuisce al ripristino ambientale delle aree degradate. La destinazione finale delle aree estrattive persegue le finalità dell’uso pubblico dei suoli, previo idoneo restauro naturalistico delle stesse, ed è definita dal Piano tenuto conto della pianificazione di settore vigente”. Ad oggi il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola non è dotato del Piano Territoriale. Nell’area estrattiva della cava di Monte Tondo, oltre ad essere distrutti degli affioramenti fossiliferi, vengo distrutti, modificati e alterati fenomeni carsici di superficie e sotterranei facenti parte del Sistema Carsico del Re Tiberio nonché alterata la morfologia esterna e di conseguenza genera la modifica e alterazione del sistema idraulico sotterraneo. Questo è vietato dalla legge. L’Ente deve “tutela degli elementi naturali” e fare rispettare la legge.

Come sopra citato solo il Piano Territoriale può prevedere attività estrattive nelle aree contigue, ma ci mancherebbe che, dopo 17 anni dalla costituzione del parco, solo oggi si arrivasse all’approvazione di un piano al semplice scopo di consentire la distruzione dell’ambiente. Quell’ambiente, che per le sue finalità, il Parco deve proteggere. Una cosa del genere non solo sarebbe vergognosa e inqualificabile, ma minerebbe alla base la stessa ragion d’essere del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola. Come più volte detto negli ultimi 21 anni le amministrazioni nulla hanno fatto per promuovere un’alternativa economica non basata sulla distruzione e questa è una grave colpa, ma se oggi per potere continuare a distruggere la Vena del Gesso le stesse amministrazioni vanno alla ricerca di come superare i numerosi vincolo che mettono al sicuro l’ambiente e chiedono all’ Ente di fare una forzatura alla legge mettendolo in contrapposizione con i propri fini o peggio ancora di escludere l’area di cava dalle norme di tutela quali, Sito della rete Natura 2000 ZSC/ZPS IT4070011 (Dir. 92/43/CEE e Dir. 09/147/CE), area contigua e Zona B) del parco, saremmo di fronte ad un fallimento politico, all’insipienza amministrativa sino a minare la stessa credibilità delle istituzioni. Sempre rifacendoci alle norme vigenti l’area estrattiva della cava non può espandersi oltre l’attuale limite del PIAE. Non a caso è stato chiesto dalle amministrazioni locali alla Regione di commissionare uno studio che, prendendo in considerazione “l’alternativa zero” ovvero l’immediata cessazione dell’attività, era finalizzato ad individuare possibili scenari estrattivi nei margini del vigente PIAE. Ebbene questo studio indica, tre scenari possibili: “Scenario A ovvero “alternativa zero”; scenario B) “Ipotesi di prosecuzione attività estrattiva secondo lo scenario 4 dello studio ARPA 2001; scenario C: “Attuazione dell’ipotesi di cui al cap. 13.5 dello studio di ARPA 2001”. Come abbiamo già avuto occasione di dire in merito allo studio riteniamo che: • Scenario A ovvero “alternativa zero” che prevede la cessazione dell’attività estrattiva entro il 2022. Questo scenario costituisce la naturale conclusione dell’attività estrattiva in base a quanto condiviso 20 anni fa da tutti i soggetti in causa, a seguito dello studio ARPA recepito nel PIAE 2006. Se oggi questo scenario, come evidenziato nello studio, creerebbe un problema occupazionale ciò è dovuto all’inerzia e all’indifferenza degli enti locali, che, nel tempo, non si sono minimamente preoccupati di creare alternative, non reputando prioritaria la salvaguardia di uno straordinario “bene comune” qual è la Vena del Gesso. E ancora oggi anziché ricercare rimedi validi respingono qualsiasi scenario (previsto nello studio) che non contempli un’espansione della cava. Dimostrando una sordità grave e peggio l’incapacità ad affrontare i problemi sollevati dalla degradazione dell’ambiente.

• Scenario C: “Attuazione dell’ipotesi di cui al cap. 13.5 dello studio di ARPA 2001”. Lo studio ARPA affermava che tale coltivazione doveva essere realizzata più con lo scopo di raccordare la cava con la vena vergine del gesso piuttosto che essere impostata come una coltivazione vera e propria. Ebbene, lo scenario C di fatto prevede un ampliamento, non proprio modesto, della cava in zona B (sempre vietato), ma anche un incremento di 1.000.000 di m3 di materiale estraibile e quindi non un semplice raccordo, ma un vero e proprio consistente ampliamento della cava. Per questi motivi lo scenario C non può essere considerato. Infine, va sottolineato che, anche in questo caso le norme legislative citate vietano l’ampliamento del perimetro di cava. • Scenario D: “ipotesi di progetto di Saint Gobain Italia Spa”, questo non è uno scenario elaborato da chi ha fatto lo studio. Anche per quanto riguarda questo scenario valgono le considerazioni già evidenziate per lo scenario C. Lo studio mette comunque in evidenza le “insufficienze” rilevate nella proposta Saint Gobain “finalizzata piuttosto ad un’altra futura possibilità di ampliamento estrattivo piuttosto che di cessazione definitiva della cava” e quindi evidentemente incompatibile con gli scopi dello studio e quanto da esso raccomandato. In sostanza va sottolineato che questo scenario dimostra solo che la multinazionale non ha alcuna considerazione dell’ambiente e, come è ovvio, considera unicamente i propri interessi economici che prevedono lo sfruttamento indiscriminato del territorio. In altre parole sia lo scenario C) e D), se anche solo parzialmente accolti, finirebbero per concedere alla cava un’espansione tale che a suo tempo fu negata perché ritenuta da tutti eccessiva già dallo studio ARPA 2001. Fa specie che le amministrazioni locali (in particolare il Comune di Riolo Terme dove di fatto si dovrebbe espandere la cava) dopo non avere attivato alcuna azione per una “transizione ecologica” tale da generare una economia locale non più basata (dopo 63 anni) sull’estrazione del gesso oggi siano così disponibili a concedere nuove porzioni di ambiente a SaintGobain affinché possa distruggerlo. In conclusione resta solo lo scenario B) “Ipotesi di prosecuzione attività estrattiva secondo lo scenario 4 dello studio ARPA 2001”. Questo scenario, raccomandato dallo studio e caldeggiato dalla Regione, prevede di contenere l’area di estrazione del gesso entro i confini del vigente PIAE ovvero entro il così detto “limite invalicabile”. Se questo scenario ha il pregio di non ampliare ulteriormente l’area di cava, tuttavia permette la distruzione di altre grotte appartenenti all’importante sistema carsico del Re Tiberio, inoltre contrasta con le norme legislative vigenti che vietano “la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei”. Allo stato attuale questo è l’unico scenario che si può prendere in considerazione, ma assieme alle raccomandazioni contenute nello studio stese ovvero:

• “considerare il nuovo periodo di attività come l’ultimo possibile e concedibile, inserendo opportune clausole di salvaguardia negli atti autorizzativi corrispondenti”. Questo “indipendentemente dalla eventuale minore utilizzazione da parete del concessionario del volume autorizzabile” • “di utilizzare il decennio di ulteriore attività mineraria per attuare adatte politiche di uscita dal lavoro degli addetti oggi impiegati, in modo da minimizzare il problema al momento della cessazione delle attività”. Fermo restando il rispetto delle norme vigenti che, ripetiamo, vietano “la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo; la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei” A questo fine ribadiamo la nostra disponibilità e rivendichiamo il nostro ruolo di monitoraggio all’interno dell’area di cava. È dovere dell’Ente e del Parco conservare e riqualificare l’ambiente, a partire delle formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche, ma anche di valorizzare l’ambiente naturale e il paesaggio facendo sì che questi non siano al mero servizio della valorizzazione economica. È questa una grande sfida che da anni come Federazione portiamo avanti assieme al Parco e all’Ente stessi e che oggi ci vede impegnati nella candidatura dei fenomeni carsici, anche quelli della Vena del Gesso, a Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Candidatura che l’eventuale espansione della cava, in contrasto con i deliberati dell’Ente e delle amministrazioni locali, comprometterebbe. Noi riteniamo che il futuro di queste vallate non sia la distruzione indiscriminata di quanto vi è di più prezioso, ma un’attenta conservazione di questi straordinari ambienti e ci auguriamo di avervi ancora al nostro fianco in questo salto culturale che impone di fare sì che la Vena del Gesso sia definitivamente liberata dalle cave e (dopo 74 anni di ininterrotta attività) si chiuda anche quella di Monte Tondo.”