Il mal di schiena riguarda il 97% della popolazione e si stima che 6 italiani su 10 ne soffrano ogni settimana (Global Pain Index). Ma quando questo dolore diventa cronico è necessario indagarne la causa per poter risolvere la problematica.

Se il dolore riguarda la zona lombare e diventa cronico, ovvero non risponde più alla terapia conservativa farmacologica o fisica/fisioterapica, ed è dovuto a problematiche dei dischi vertebrali, è possibile intervenire mediante una tecnica in grado di alleviare il dolore e porre rimedio alla causa scatenante. Si chiama tecnica ALIF (Fusione o artrodesi intersomatica anteriore – Anterior Lumbar Interbody Fusion) e consente di trattare i dischi vertebrali lombari interessati: l’intervento mininvasivo prevede la sostituzione del disco lombare danneggiato (solitamente quello compreso tra la quarta e quinta vertebra lombare o quello tra quinta lombare e prima sacrale) con una “gabbia”, una sorta di spessore che viene posizionato tra le vertebre in modo da renderlo un impianto fisso, bloccando il movimento relativo delle vertebre interessate, con il vantaggio di guarigione e di una risoluzione dei sintomi (mal di schiena, sciatalgia, dolori lombari e agli arti inferiori) con percentuali elevate.

La tecnica ALIF viene utilizzata da tempo a Maria Cecilia Hospital, Ospedale di Alta Specialità accreditato con il SSN, grazie alla collaborazione tra il dott. Bassani (tra i principali promotori di questa tecnica in Italia) e il dott. Ignazio Borghesi, responsabile della Neurochirurgia dell’ospedale Maria Cecilia Hospital di Cotignola di GVM Care & Research.

Nel corso del secondo decennio degli anni 2000 la tecnica ALIF ha avuto un grande sviluppo, grazie anche al miglioramento di strumenti chirurgici, tecniche di imaging e mezzi di sintesi. Tuttavia, è attualmente applicata in tutte le sue potenzialità solo in alcuni centri specializzati, tra cui Maria Cecilia Hospital che ha recentemente presentato, in occasione del 43° Congresso SICV (Società Italiana Chirurgia Vertebrale) & GIS (Gruppo Italiano Scoliosi), uno studio retrospettivo relativo a 176 pazienti sottoposti ad artrodesi con tecnica ALIF nel periodo tra gennaio 2015 e giugno 2021.

“La tecnica ALIF va eseguita solo in centri di riferimento con grande esperienza – spiega il dott. Riccardo Draghi specialista in neurochirurgia che, con la dott.ssa Ilaria Barni, ha contribuito allo studio presentato da Maria Cecilia Hospital –. Possiamo considerare molto soddisfacenti i risultati ottenuti su pazienti con lombalgia e lombosciatalgia con discopatia ad un solo livello – cioè con un solo disco interessato – che ne possono trarre un beneficio quasi immediato, molto significativo a medio e lungo termine. Il tasso di fusione (ossia di guarigione ossea) nel nostro studio è superiore al 96% dei casi e si associa ad un miglioramento della qualità di vita delle persone sottoposte all’intervento”.

Rispetto ad altri approcci chirurgici, che vanno ad intaccare la catena dei muscoli posteriori, la tecnica ALIF, infatti, permette di eseguire un’artrodesi, cioè un intervento di fusione che rimuove la mobilità tra le due vertebre trattate, con un approccio per via anteriore, evitando anche la manipolazione chirurgica delle strutture nervose e muscolari. Gli studi hanno dimostrato che, quando si tratta di una discopatia di un livello solo, la tecnica ALIF risulta vincente in quanto permette di ristabilire la corretta curvatura della colonna, risparmiando i muscoli paraspinali. Tutto ciò porta vantaggi al paziente in termini di una ripresa più rapida e minor dolore post-operatorio.

Tecnica ALIF – Approfondimenti

Chi può essere candidato all’intervento con tecnica ALIF?

“Il paziente candidabile a questa chirurgia soffre di una lombalgia o una lombosciatalgia che non abbia tratto beneficio dai trattamenti conservativi (fisioterapici rieducativi e/o farmacologici). Questo quadro clinico deve associarsi ad una discopatia degenerativa congrua con questi disturbi, che riguardi un solo livello o al massimo due livelli di dischi intervertebrali” spiega il dott. Borghesi.

Quali esami sono necessari per la diagnosi e la preparazione all’intervento?

Il paziente viene sottoposto ad una Risonanza Magnetica del rachide lombosacrale senza contrasto ad alto campo (1.5 Tesla) e ad una radiografia dell’intera colonna sotto carico per valutare l’allineamento complessivo della sua colonna vertebrale del paziente, al fine di individuare la tipologia di impianto e pianificare l’intervento. Questo perché le “gabbie” utilizzate tra le vertebre in sostituzione del disco possono avere varie angolazioni, dimensioni, altezze. Talvolta può essere necessario effettuare anche una TC del rachide lombo-sacrale per caratterizzare al meglio la componente ossea o evidenziare la presenza di compressioni di tipo osseo.

Al Maria Cecilia Hospital di Cotignola sono presenti tutte queste metodiche diagnostiche con tecnologie di ultima generazione.

Quanto dura l’intervento e cosa avviene nel post operatorio?

“L’intervento dura in media 1 ora e mezza – risponde il dott. Borghesi -. Il paziente viene svegliato immediatamente dopo l’intervento ed il giorno successivo viene fatto alzare. Un eventuale drenaggio chirurgico viene rimosso di solito in prima giornata post-operatoria. Il dolore post operatorio, solitamente non particolarmente intenso, viene comunque trattato con dei farmaci “ad hoc”. Infine il paziente viene in genere dimesso dopo 4 o 5 giorni dall’intervento (se si tratta di pazienti giovani e particolarmente attivi le dimissioni possono avvenire anche in 3^ giornata post-operatoria)”.

Perché l’intervento ALIF va effettuato solo in centri specializzati e con équipe di grande esperienza?

L’approccio chirurgico prevede l’esposizione e la manipolazione di strutture vascolari di notevole importanza, quali i vasi iliaci. Anche l’uretere, il canale di deflusso che collega il rene alla vescica, viene manipolato durante questa procedura. È chiaro quindi che vi è un rischio di danno di queste strutture anatomiche, che solo équipe d’esperienza hanno la possibilità di ridurre al minimo e, in caso di danno, possono gestire.

Come ci si deve comportare a casa, dopo la dimissione?

“Possiamo contare su follow up anche di diversi anni e i risultati ottenuti sono molto buoni. Al paziente si raccomanda, una volta tornato a casa, durante le prime settimane, di muoversi indossando un bustino (per circa un mese – 6 settimane) che ha una funzione di stabilità e di prevenzione di movimenti eccessivi e prematuri. Bisogna evitare di sollevare carichi eccessivi e di fare torsioni o flessioni ampie del tronco”spiega il dott. Draghi. Dopo un paio di mesi, il paziente è invitato ad effettuare della blanda fisioterapia, a sottoporsi a sedute di massoterapia o anche a fare ginnastica in acqua calda. Successivamente sarà importante fare della ginnastica posturale specifica.

C’è il rischio di recidiva?

“È inverosimile che il settore trattato debba essere revisionato sullo stesso livello – commenta il dott. Draghi – Quando si interviene con un’artrodesi si va ad irrigidire un segmento di colonna vertebrale che non si muove più: ne può derivare la cosiddetta sindrome giunzionale, cioè i dischi vicini, che risultano ancora mobili, per via della rigidità del segmento stabilizzato possono andare incontro ad un’accelerazione del processo artrosico-degenerativo. Si tratta del rovescio della medaglia dell’artrodesi ma diversi studi hanno documentato che la tecnica ALIF è la metodica di artrodesi con il minor tasso di sindrome giunzionale per i livelli adiacenti”, conclude il dott. Draghi.