31/03/2018 – La mancanza, fino a poco tempo fa, di uno screening neonatale per alcune malattie rare finisce al centro di un’interrogazione a firma della consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Raffaella Sensoli. La consigliera, infatti, chiede alla giunta spiegazioni sul fatto che “lo screening sia stato esteso da poco a 40 patologie, nonostante fosse possibile farlo già del 2011”. Lo screening neonatale si basa su un piccolo prelievo dal tallone del piede del neonato che permette di individuare molto in fretta e curare in modo tempestivo alcune malattie congenite che altrimenti potrebbero comportare gravi conseguenze nello sviluppo del neonato. “In Emilia-Romagna -sottolinea la consigliera- lo screening neonatale è stato allargato a 21 malattie metaboliche ereditarie a partire dal 2011, escludendo numerose patologie dall’elenco delle consuete 40 malattie rare”. L’esponente M5s sottolinea come dalla fase di scelta delle patologie da inserire nel programma di screening neonatale sia stata “esclusa l’associazioni dei malati (senza una valida motivazione)”. Inoltre, “l’apparecchiatura screening neonatale in uso in Emilia-Romagna, con la stessa spesa, poteva e può rilevare oltre 40 patologie” ma “per scelte di carattere politico, economico e organizzativo, fino a qualche anno fa se ne rilevavano solo una parte, rinunciando di fatto ad avviare il percorso di cura per alcune patologie prima dell’insorgenza dei sintomi, accettando così il rischio di invalidità conseguente al ritardo diagnostico”. Per questo la consigliera Sensoli interroga la giunta per sapere “i motivi per i quali la Regione solo da poco ha esteso lo screening neonatale a 40 patologie nonostante fosse possibile farlo già nel 2011, per sapere se è attivo lo screening oftalmologico neonatale (la diagnosi che riguarda l’apparato visivo, ndr) in modo omogeneo su tutti i punti nascita del territorio regionale, se non ritenga opportuno avviare una nuova fase di dialogo con le associazioni presenti sul territorio regionale che si occupano di malattie rare, tenuto conto che possono contribuire a riportare all’interno dei tavoli di lavoro regionali e locali i bisogni e le necessità delle persone affette da malattie rare”. Infine, chiede alla giunta “se non ritenga opportuno invitare le aziende sanitarie ed ospedaliere ad un maggiore coinvolgimento delle associazioni degli utenti ed evitare che nei comitati consultivi misti vi sia la valorizzazione delle associazioni gradite alle aziende sanitarie e ospedaliere, che tengono un comportamento non conflittuale, di totale sudditanza, e l’allontanamento di quelle poco inclini ad atteggiamenti di asservimento, cercando di evitare che il consenso sociale venga cercato escludendo dalla consultazione coloro che non sono soddisfatti”.