“La pandemia ci costringe a casa ma non al silenzio. Il Coordinamento per la Democrazia costituzionale dell’Emilia Romagna chiede il ritiro di un decreto interministeriale ambiguo e pericoloso”. Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale della provincia di Ravenna – composto da ARCI, Comitato in Difesa della Costituzione di Bagnacavallo, il Comitato per la Difesa e la Valorizzazione della Costituzione di Faenza, Libertà e Giustizia, circolo di Ravenna, Comitato in Difesa della Costituzione di Ravenna – fa parte del CDC regionale ed è pienamente concorde con la richiesta di ritiro del decreto ministeriale dell’8 aprile.

“Nessuna emergenza, pandemia, stato di eccezione può allontanarci dal dovere costituzionale di salvare vite, ovunque e in qualunque condizione si trovino” prosegue Il Coordinamento per la Democrazia costituzionale dell’Emilia Romagna.

Il decreto interministeriale – sottoscritto l’8 aprile scorso dal MIT di concerto con i ministri dell’Interno, degli Esteri e della Salute – ha decretato che “ Per l’intero periodo di durata  dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid – 19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety, in virtù di quanto previsto  dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio in mare per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana” (Art. 2 del Decreto).

“Riteniamo, per le motivazioni su cui si basa, che il decreto violi  norme costituzionali e convenzioni internazionali sul salvataggio in mare.  La scelta di dichiarare per le stesse motivazioni “ non sicuri” i porti italiani nemmeno appare ragionevolmente giustificata in relazione alla attuale pandemia di Covid-19 in Italia” affermano i CDC dell’Emilia Romagna.

“Precisamente, ricordato che per “zona SAR si intende un’area di mare affidata alla competenza di un singolo paese e che il Decreto pare sia stato emesso per impedire alla nave Alan Kurdi di far rotta verso la Sicilia, osserviamo che:

1) aprire o chiudere i porti italiani a seconda che  i soccorsi in mare siano stati effettuati da navi italiane o navi “straniere” al di fuori dell’area SAR italiana viola in modo evidente l’art. 3 Cost. Infatti per le stesse persone soccorse in un caso i porti italiani sono sicuri – e quindi l’emergenza Covid-19 non è di ostacolo all’accoglienza in Italia di queste persone – mentre nell’altro diventano insicuri e quindi colpite dal divieto di sbarcare in uno dei nostri porti.

2) la Libia e suoi porti, ai quali  i migranti soccorsi entro l’area SAR libica,  dovrebbero essere riportati, è stata dichiarata luogo non sicuro dalle principali Agenzie dell’ONU a causa delle torture e degli orrori che gli stessi migranti lì subiscono. Pertanto nessuna persona soccorsa anche entro questa area da navi di qualsiasi bandiera mai dovrebbe essere ricondotto in Libia. Questo significa concretamente che le persone soccorse “ al di fuori dell’area SAR italiana”  ma entro la SAR libica  dovrebbero anch’esse, secondo la legge, poter sbarcare nei porti italiani  o maltesi, spagnoli, francesi, e, tra questi, quelli più vicini al luogo di soccorso.

3) la Cassazione Sezione Penale, con la sentenza n. 6626/2020 del 16 gennaio 2020 (caso Rackete) ha  argomentato, a proposito di quel che deve intendersi per luogo sicuro  secondo le Convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia che esso  “è una località dove la vita o la sicurezza dei sopravvissuti non è più minacciata…”   e che secondo una Risoluzione del Consiglio d’Europa 1821/2011 “ la nozione di luogo sicuro non può essere limitata  alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali” (pp.11 e 12 della Sentenza cit.). Tra questi diritti figurano quelli di domandare asilo, di non essere respinti, di esser sbarcati nel porto più vicino all’area di salvataggio.

Infine , considerato che l’emergenza Covid-19 interessa tutti i paesi del mediterraneo e d’Europa,  se si seguisse la logica del Decreto nessun porto sarebbe più “luogo sicuro” . Il che equivarrebbe a violare/sospendere tutte le convenzioni internazionali sul salvataggio in mare e diverse norme della nostra Costituzione.

Come hanno sostenuto Medici senza Frontiere, Sea Watch, Open Arms, Mediterranea (ONG che hanno messo a disposizione dell’Italia tutto il loro personale medico infermieristico e le loro dotazioni  per contrastare Covid-19), lo scopo del Decreto sembra essere  “ quello di fermare le attività di salvataggio nel mediterraneo, per salvare la vita di chi scappa dalla Libia”, mentre sarebbe possibile  “trovare molte soluzioni diverse e conciliare il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere e salvare vite in mare. Tutte le vite vanno salvate, a terra come in mare. Farlo è possibile e doveroso”,  Comunicato ONG del 9 aprile ).

Anche noi pensiamo sia senz’altro possibile individuare da parte dell’Italia e degli altri paesi della UE scelte operative in grado di conciliare la tutela della salute a terra col salvataggio di vite in mare. Per tali motivi chiediamo al Governo ed ai ministri firmatari del decreto di ritirare il decreto ripensando misure, da concordare con la Unione Europea, rispettose delle leggi e in grado di salvare il maggior numero possibile di vite, siano esse a terra o in mare” concludono i i CDC dell’Emilia Romagna.