Non ripetere gli errori passati. Lunedì 28 febbraio si riunirà il consiglio dell’Unione della Romagna Faentina. Fra i temi al centro del dibattito vi sarà il polo estrattivo del gesso a Monte Tondo al centro da alcuni mesi di un dibattito politico-economico. La Regione ha previsto la chiusura della cava in 10 anni e una riconversione produttiva dell’area. Riconversione che, in realtà, già da tempo doveva essere in atto nell’economia di Casola Valsenio e Riolo Terme. Per questo motivo, dopo la pubblicazione del Piano Infraregionale delle Attività Estrattive da parte della Provincia di Ravenna, che non prevede l’apertura di nuove cave e l’ampliamento di quelle esistenti, la Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna, da tempo impegnata nella tutela della realtà ambientale di Monte Tondo, ha inviato ai consiglieri dell’Unione della Romagna Faentina, in vista del consiglio del 28 febbraio, una lettera nella quale viene ribadita ancora una volta l’importanza e la necessità di programmare la riconversione produttiva del sito industriale della cava del gesso per non ripetere, appunto, gli errori già commessi in passato:

«La cava di Monte Tondo, in 64 anni di attività, ha distrutto l’intera area circostante e alterato irreversibilmente i sistemi carsici lì presenti. Ciò è stato, a suo tempo, chiaramente ribadito dalle amministrazioni pubbliche locali che, nel PIAE vigente, hanno sottolineato come “l’area estrattiva ha profondamente e in modo irreversibile alterato e modificato la situazione originaria dell’affioramento della Vena dei gessi”

Nel volgere di pochi anni, la cava di Monte Tondo diviene infatti il maggior sito estrattivo in Europa in riferimento al gesso, determinando, in una delle zone di maggior interesse scientifico, naturalistico e paesaggistico a livello mondiale, un impatto ambientale devastante e irreversibile che prosegue senza soluzione di continuità. A quanti oggi parlano di “ripristino ambientale”, va ricordato che una montagna che non esiste più non è, in alcun modo, ripristinabile.

L’attività estrattiva rappresenta, da sempre, una delle cause di degrado ambientale a maggiore impatto, in quanto modifica in modo irreversibile la morfologia dei luoghi, facendo pagare all’ambiente un prezzo altissimo. Le preoccupazioni per il lavoro sono legittime, ma ciò non significa perpetrare, a tempo indeterminato, sfruttamento e distruzione dell’ambiente.

Già a partire dalla fine degli anni novanta si è posto il problema di tutelare quest’area. Nonostante le indicazioni degli studi che si sono susseguiti nel tempo e gli impegni assunti, nulla è stato fatto dalle amministrazioni per programmare la cessazione dell’attività estrattiva. La conseguente distruzione di ciò che loro stessi definiscono un “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico, speleologico, naturalistico paesaggistico ed archeologico” è perdurata fino ad oggi, come se a nulla fossero serviti i numerosi vincoli di tutela a cui è sottoposta l’area (Rete Natura 2000, area contigua Parco VdG). Si continua così a ritenere Monte Tondo una mera fonte di reddito da cui estrarre profitti. Dalle amministrazioni locali è stato sprecato, per ignavia e disinteresse, un lungo periodo di tempo che sarebbe stato più che sufficiente per programmare una seria riconversione produttiva. Considerato ciò, ci si chiede quanto le stesse amministrazioni siano oggi da ritenersi credibili ed affidabili quando, a più riprese, parlano appunto di “riconversione produttiva”

Le scoperte e gli studi condotti e promossi dai Gruppi speleologici affiliati alla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna hanno permesso di individuare nell’area di estrazione del gesso e nelle zone limitrofe un patrimonio che era, in gran parte, sconosciuto. L’importanza e l’unicità di questo patrimonio è confermata da una serie di norme e leggi a di tutela. Tra queste vanno citate le norme di salvaguardia contenute nella legge istitutiva del Parco del Vena del Gesso Romagnola dove viene scritto che: “nell’area contigua… le seguenti attività… sono vietate: … B) la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo, C) la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei”. Inoltre, nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, si specifica che “sono vietati l’interramento, l’interruzione o la deviazione delle falde acquifere sotterrane, e i temi carsici della Vena del Gesso…”. Infine, va citato il Decreto Ministeriale del 17 ottobre 2007: “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”. Lo studio ritenuto necessario dalla Provincia di Ravenna, con i Comuni di Riolo Terme e Casola Valsenio commissionato ad una ATI della Regione, risalente all’agosto 2021, raccomanda di contenere l’area di estrazione del gesso entro i confini del vigente PIAE ovvero entro il così detto “limite invalicabile” e di “considerare il nuovo periodo di attività come l’ultimo possibile e concedibile, inserendo opportune clausole di salvaguardia negli atti autorizzativi corrispondenti” e conseguentemente lo studio propone “di utilizzare il decennio di ulteriore attività mineraria per attuare adatte politiche di uscita dal lavoro degli addetti oggi impiegati, in modo da minimizzare il problema al momento della cessazione delle attività”

Se questo scenario ha il pregio di non ampliare ulteriormente l’area di cava, tuttavia permette la distruzione di altre grotte appartenenti all’importante sistema carsico del Re Tiberio. Ribadiamo che la Regione ha indicato lo scenario B come la soluzione migliore per conciliare gli obiettivi di salvaguardia che ci si era prefissi. Ciò appare coerente anche con la decisione della Provincia di Ravenna che, nella revisione del PIAE, non ha previsto l’apertura di nuove cave o l’ampliamento di quelle esistenti. Nell’auspicio che ciò avvenga anche per la cava di Monte Tondo, riteniamo che sia finalmente giunto il momento di prendere decisioni in merito, completando così l’iter del PIAE.

Tutto ciò è coerente con la scelta della Regione, condivisa dalle stesse amministrazioni locali, di candidare, come proposto dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna, il “Carsismo nelle Evaporiti e grotte dell’Appennino settentrionale” a Patrimonio Mondiale dell’Umanità, a dimostrazione che il futuro non è nella distruzione dell’ambiente bensì nella sua protezione e conservazione».