«Possibile che non si possa fare niente?». Con questa domanda, Alessandro (il nome e, ovviamente, di fantasia) mi si è avvicinato stamattina mentre ero intento al solito volantinaggio. Una domanda che -fatta a bruciapelo, così perentoria -non lascia spazio ad altro che non sia “raccontami!”. Così è stato!
Ci siamo messi in disparte e Alessandro ha iniziato a raccontarmi la sua storia: moglie e 3 figli; poco più di 50 anni; disoccupato da 5, ora è in una cooperativa di professionisti e lavora -come giornalista -alla costruzione di rassegne stampa per imprese -per la maggior parte pubbliche ma, anche private -, per conto di un’azienda emiliana. «Non è il sogno della vita, ma -dico io -meglio che niente!». «Fai presto tu -risponde -. Peccato che un mese di lavoro, alzandomi alle 5 e 30 del mattino, mi “frutta” (è una chiara espressione del sud) 240 euro. Ovviamente -completa il suo pensiero -con fattura e senza contributi previdenziali».
Mentre parla, rifletto sulla sua affermazione iniziale e penso che probabilmente ha ragione: si può fare niente, soprattutto perché, per quel po’ di sindacato che “ricordo”, i mezzi di produzione li metti tu e -sebbene l’orario, sia fissato dalla “gara d’appalto” -non puoi certo sostenere un “vincolo di subordinazione» visto, peraltro, che emetti una fattura. Si, ha ragione lui -penso -si può davvero fare niente!
Ma il vizio della bestia, dell’uomo che per tutta la sua vita ha fatto del Sindacato una missione e uno scopo di vita, è duro a morire e, allora, indago… cerco di approfondire. Non foss’altro per consolarlo e farlo sfogare.
Alessandro, allora, sembra leggermi nella testa e riparte: «Pensa che non è ancora tutto! -dice -perché l’accordo (che poi di accordo non si tratta perché si tratta dell’eterna legge “del prendere o lasciare”) è che la consegna debba avvenire entro le 7. Posso iniziare quando voglio per finire entro quell’ora ma la retribuzione è sempre di un’ora». «E tu… quanto ci metti? Ci stai dentro l’ora?». «Ma che, quando faccio presto ci metto un’ora e un quarto ma, normalmente, non finisco prima di un’ora e mezzo». «Si -fa lui, intercettando la mia “ovvia” risposta -ho provato a fare pressioni per quella mezz’ora ma mi è stato risposto che il tempo è stato calcolato e, soprattutto, -conclude -se mi pagano mezz’ora in più il “guadagno” me lo prendo tutto io».
Se ne va sconsolato di non aver trovato nessuna risposta a cui non avesse già pensato lasciandomi con il dubbio che, forse, anche se fossi eletto sindaco dai cittadini potrei fare ben poco per Alessandro e per quelli nella sua situazione.
Poi, tornando a casa, nel prendere le chiavi della macchina, mi è venuto in mano un volantino sul lavoro e sulla proposta di Contratto Etico “rifilatomi” dai ragazzi del M5S quando sono andato a salutarli, mercoledì, al mercato di Ravenna, che lo distribuivano ai cittadini mentre, poco più in la, noi Comunisti Uniti, portavamo il nostro contributo al “banchetto” del comitato “NO all’Autonomia Differenziata” per la raccolta di firme sulla petizione da presentare in Regione.
Certo, rifletto rigirando tra le mani il volantino, un sindaco non ha il potere di cambiare “tutto” ma per la sua quota parte, per le attività non riaggregabili a quelle direttamente svolte dal Comune che servono per mandare avanti Ravenna, può costruire contratti d’appalto che prevedano una “Retribuzione Etica”, l’hanno chiamata dal M5S, “Retribuzione di Giustizia ed Equità” ho pensato io.
Ecco, allora, serve un atto che porti fuori da questa melassa attuale del “non sapevo, non vedevo,non sentivo” con cui le Autorità, tutte le Autorità accolgono oggi le notizie simili a quelle del nostro Alessandro o, addirittura, peggiori.