La Legge Regionale 21/2012 che obbliga i Comuni ad associarsi al livello di “ambiti territoriali ottimali ed omogenei per area geografica” per conseguire finalità di “razionale distribuzione delle funzioni alla luce dei criteri di unicità, semplificazione, adeguatezza, prossimità al cittadino, non sovrapposizione e non duplicazione delle stesse”, in epoca di scarsità di risorse finanziarie per il sistema delle Autonomie e blocco delle assunzioni, risponde alla fondamentale esigenza dia assicurare la qualità della gestione e del presidio dei servizi, senza creare inutili doppioni e sprechi di risorse.

Tuttavia la L.R. citata non ha dato indicazioni relative al modello di governance da perseguire in ambito di Unione e ciò ha determinato nel tempo non poche criticità, anche in territori all’avanguardia per esperienza associativa, come quello della Bassa Romagna.

In particolare il combinato disposto tra:

  • il riparto di poteri e competenze attribuiti (D.Lgs. 18-8-2000 n. 267) agli organi di governo (potestà di indirizzo politico e di controllo sull’attuazione degli indirizzi) e ai funzionari (potestà per i provvedimenti attuativi e per la scelta degli strumenti tecnici, finanziari e giuridici),
  • il blocco delle assunzioni vigente da anni
  • la verticalizzazione dell’organizzazione dei servizi adottata in ambito di Unione,

ha generato non poche criticità, fra le quali:

  1. Il venir meno di referenti tecnici/amministrativi nei singoli Comuni per gli atti di competenza dell’Ente, con inevitabili rimpalli di responsabilità tra singoli comuni e Unione.
  2. Nel contesto del progressivo indebolimento della disponibilità di risorse per governare il territorio e di un tendenziale appiattimento del governo locale nell’ordinaria amministrazione, la crescente delega ai funzionari per la costituzione degli atti distintivi dell’indirizzo politico scelto dagli elettori con il voto, genera distacco dei cittadini dal Governo Locale e indebolimento della capacità degli organi di Governo di comprendere i mutamenti in corso nella organizzazione sociale e nei relativi bisogni emergenti.
  3. La complessità del lavoro di armonizzazione degli atti amministrativi a livello di Unione assorbe gran tempo agli Amministratori, sottraendolo alla promozione della partecipazione e al contatto diretto con i cittadini.

In generale dunque si è andato impostando un modello che ha in parte esautorato gli organi elettivi comunali e che, puntando sull’efficienza, ha trascurato la partecipazione dei cittadini, senza la quale non c’è efficienza ed efficacia.

Tutto ciò è avvenuto in un ambito territoriale che fin dagli anni ’70 del secolo scorso aveva fatto della partecipazione (l’istituzione dei Consigli del Decentramento) un fiore all’occhiello e soprattutto una leva capace di generare incisività delle politiche di coesione e sviluppo.

Va considerato qui anche il peso della esternalizzazione ad Hera della gestione delle reti energetiche, dell’acqua e del ciclo dei rifiuti: attraverso quella scelta – apportatrice di benefici sostanziali, a cominciare dalla acquisita disponibilità di risorse necessarie alla manutenzione al rinnovo delle reti, non più disponibili per i Comuni – è passato un modello che affida l’efficienza ai criteri dell’impresa, lascia spazio alla delegittimazione del pubblico ed, inevitabilmente, confina la partecipazione ed il controllo ad un ruolo secondario.
Oggi di fronte ai cambiamenti epocali che caratterizzano il nostro tempo, in mancanza di risorse finanziarie adeguate, occorre che le municipalità si facciano referenti morali per le comunità, orientandole a governare il cambiamento secondo finalità di progresso civile e coesione sociale e contemporaneamente assumendo la massima coerenza nel perseguimento di quegli obiettivi negli indirizzi di spesa e nei concreti atti amministrativi.

A questo scopo è necessario che la Governance dell’Unione ponga l’Ente a supporto del rilancio dell’autorità e del potere gestionale dei Comuni e dei suoi organi democraticamente eletti, correggendo una separatezza che in alcuni casi ha rallentato i tempi dei procedimenti autorizzativi.
Proponiamo dunque un netto riparto di funzioni tra Unione e singole Municipalità: all’Unione le competenze in ambito normativo sovracomunale, previo parere dei Consigli comunali, ai Comuni gli atti di applicazione e articolazione in ambito locale delle normative adottate dall’Unione.

In tale ambito l’integrazione dei servizi deve assumere come prioritaria la finalità della legge istitutiva delle Unione: la semplificazione e la prossimità al cittadino. Dunque l’integrazione verticale, che colloca la dirigenza dei servizi in capo all’Unione, deve farsi strumento delle municipalità. A sua volta in ogni Municipio occorrerà assicurare la presenza di un funzionario che garantisca l’interfaccia tra cittadini, Amministratori e organi dell’Unione per ciascuna area o per raggruppamenti di aree omogenee.

Infine va finalmente colmato il vuoto generatosi con il fallimento della riforma Del Rio, ossia lo svuotamento di legittimazione e di risorse di bilancio per la Provincia, senza che sia mai decollato il nuovo Ente intermedio di programmazione di area vasta, in mancanza del quale le grandi concentrazioni di servizi, come Hera, Ausl Romagna, Consorzio di Ridracoli, Consorzio Trasporto pubblico, acquistano crescenti ambiti di potere autonomo ed autoreferenziale.

Coniugare meglio efficienza ed efficacia con partecipazione nell’ambito di una corretta e moderna articolazione istituzionale è condizione per restituire alla politica nuova autorevolezza, nuova capacità di interpretazione dei bisogni del sociale e nuova capacità di mobilitazione di energie per il conseguimento del bene comune.