Il 4 agosto scorso Azimut spa ha comunicato di aver cessato il “servizio di gestione e manutenzione del ponte mobile sul canale Candiano a Ravenna”. Niente a che vedere coi ponti italiani che cadono. Il nostro ponte domestico ha avuto nei primi quattro anni di vita solo problemi di movimento: che in vero sono cessati da quando, attraverso una gara europea con un solo concorrente, fu appunto affidato dall’Autorità Portuale (AP) alle cure della suddetta società comunal-cooperativa, per tre anni dal 4 febbraio 2015, al costo di 300 mila euro circa l’anno. Presumendo da dati certi che il contratto prevedesse una proroga automatica di sei mesi, si può dire che la durata effettiva del servizio sia stata di tre anni e mezzo, così da coincidere col 4 agosto di cui sopra. Nel frattempo, il ponte è stato alzato 92 volte (comprese prove, esercitazioni, ecc.). Se dividiamo il costo totale per questo numero, il quoziente che risulta è di 14.674 euro.

Audaci alla sperindìo
Mo chi ci pensa ora al ponte? Il governo del porto ha risposto alla stampa che sta “predisponendo gli atti per arrivare all’affidamento del servizio ad un nuovo soggetto. Sino a quando non sarà conclusa la gara, la gestione del ponte tornerà all’Autorità di sistema portuale (=ASP), la quale però si avvarrà di ditte specializzate per l’apertura qualora si rendesse necessaria”. Ma gestire il ponte e farvi la sacrosanta manutenzione non vuol dire solo aprirlo quando non se ne fa a meno, pagando la prestazione con una fattura. Nessuna impresa (Azimut compresa) potrebbe fare di più senza un’altra gara e un vero contratto di servizio. Né ASP ha personale e mezzi per toccare una sola valvola dell’impianto.
Insomma, audaci alla sperindìo. Tra i quali si è superato come al solito il vicesindaco di Ravenna, “competente” in materia quale assessore al porto, il quale ha intimato ad ASP “che il servizio sia garantito non solo per quel che riguarda il transito ma anche per le aperture in caso di necessità”. Gli basta cioè che sul ponte ci si passi sopra e che ogni tanto si apra.

Dove casca l’asino
Ma qui casca l’asino. Il Comune e i suoi capi devono solo stare zitti sul ponte mobile, perché la “MANUTENZIONE E GESTIONE DELL’OPERA”, art. 5 del contratto stipulato (e registrato) con l’Autorità Portuale, che ho sotto gli occhi, approvato dal Consiglio comunale il 12 gennaio 2006, recita che tocca al Comune “garantire a proprie spese la manutenzione e gestione dell’opera, direttamente o avvalendosi di terzi e a tenere indenne l’Autorità Portuale da qualsiasi richiesta o responsabilità”: tutto ciò in nome della “funzionalità della viabilità urbana”; mentre dal canto suo AP avrebbe, per una spesa prevista di 11,5 milioni, realizzato l’opera, in quanto “essenziale al traffico portuale” (benché rivelatasi poi una sciagura). Ciò significa che AP/ASP, gestendo a proprio carico il ponte dal 2011 al 2018, ha fatto un enorme e non dovuto regalo al Comune, spendendo soldi del porto in misura di 352 mila euro prima di incaricarne Azimut e di circa 1 milione e 50 mila dopo. A buon ragione, l’ex presidente AP Di Marco aveva annunciato che non sarebbe andato oltre. Dunque, toccherebbe ora al Comune prendersi finalmente in carico il ponte e indire la nuova gara per l’affidamento del servizio. Forse ASP sta pensando a questo? Ne chiederò spiegazione al sindaco, come deve fare un consigliere comunale.

Padroni e zerbini
In una sana gestione della cosa pubblica, ogni ente risponde delle proprie responsabilità e dell’uso corretto dei soldi ricevuti allo scopo dai cittadini. Non esistono, se non in un regime pubblico malato, enti comandanti ed enti serventi. I tanti guai dell’Autorità Portuale, e purtroppo del Porto, nascono tutti, come ho sempre dimostrato, dalla concezione totalitaria secondo cui chi siede per via politica nella stanza dei bottoni dispone a piacimento delle varie autonome articolazioni del potere pubblico. Il senso della parabola è che in democrazia nessuno è padrone e nessuno è zerbino.