Oggi a Ravenna gli ultrasessantenni sono 50.608, pari addirittura al 32,4 % di tutta la cittadinanza, e gli ultrasettantacinquenni 21.362, pari al 13,7%. Ciò richiede una ridefinizione delle misure e delle risorse destinate alle fasce di popolazione anziana, in cui più alto è il rischio di malattie croniche e di perdita dell’autosufficienza.

IL GOVERNO NAZIONALE

Alcune misure di riequilibrio vanno sollecitate innanzitutto al governo nazionale. Circa l’accesso alla pensione, bisogna allargare la platea dei lavori gravosi e usuranti e favorire maggiormente le donne, che spesso si dedicano alla cura dei familiari anziani senza che questo incida sui contributi previdenziali riconosciuti. Fondamentali sono la difesa del potere di acquisto delle pensioni, ma soprattutto una vera riforma fiscale che faccia pagare le tasse non più spremendo oltre misura i pensionati e i lavoratori.

LA POLITICA LOCALE

  • Sul nostro territorio, è evidente la difficoltà delle famiglie a gestire da sole gli alti carichi assistenziali richiesti dagli anziani, affetti da disturbi sempre più gravi. Il ricorso ormai obbligato al badantato è gravato da interrogativi anche angosciosi. Bisogna dunque potenziare il sistema dell’assistenza domiciliare integrata con servizi più flessibili, affinché l’anziano parzialmente non autosufficiente resti all’interno del proprio nucleo. Evitare l’ospedalizzazione e prediligere interventi sul territorio mirati alla prevenzione, alla riabilitazione, al sostegno economico e sociale dell’anziano e della sua famiglia nel suo contesto di vita, è la sfida a cui non possono sottrarsi le istituzioni pubbliche locali. Ma questo richiede quella rete integrata dei servizi socio-sanitari che veda la compresenza di diverse figure professionali (medico, assistente sociale, infermiere professionale, fisioterapista, ecc.), ciò che le Case della Salute hanno però mancato clamorosamente di offrire.
  • Anche nella realtà ravennate gli anziani inseriti in strutture residenziali o semi-residenziali, affetti spesso da disturbi del comportamento, presentano carichi assistenziali e sanitari sempre più elevati. Bisogna potenziare la rete pubblica di questi servizi, oggi largamente carente rispetto ai parametri fissati dalla Regione, scongiurando il fenomeno delle famiglie lasciate a se stesse, obbligate, per risparmiare, a parcheggiare i loro anziani in strutture private inadeguate e inospitali, se non peggio, oltretutto scarsamente vigilate e controllate.
  • Non bisogna dimenticare i molti pensionati a basso reddito e con notevoli carichi familiari che hanno trovato alloggio nell’Edilizia Residenziale Popolare (ERP), gestita da ACER, costretti a subire angherie e disfunzioni tali da produrre in loro condizioni generali di malessere e sofferenza. È un sistema malato, per cui intendiamo che il Comune si riprenda la gestione diretta delle proprie case popolari, perché rispondano ai doveri di un servizio pubblico efficiente e rispettoso della dignità dei suoi utenti, specie se anziani e indifesi.
  • A fronte di cento famiglie di cui ogni anno viene accolta la domanda di un alloggio popolare, mille altre, inserite nella graduatoria ACER avendo basso reddito, ne sono distanti. Tra queste, frequenti sono le famiglie dei pensionati che preferirebbero affittarsi un appartamento in proprio, avendo però risorse non sufficienti per sostenere i canoni di mercato, bensì altri di livello medio, in sostanza inferiori del 20/30%. Produrre questo tipo di alloggi è il compito dell’Edilizia Residenziale Sociale (ERS), che, sostenuta dalla Regione per i costi di costruzione e dal Comune per la disponibilità del terreno, consente appunto alle cooperative di edilizia sociale di realizzarli. Da oltre dieci anni però, Regione e Comune non hanno investito nulla in questo settore. Offerta dunque vicina allo zero. È ora che ci si rimetta mano seriamente.