Le varie classifiche annuali sui meriti o demeriti delle città italiane capoluoghi di provincia vanno prese all’ingrosso. I commenti, correndo il rischio di essere rituali, meglio centellinarli. Ma leggere che il 53° posto nella graduatoria dell’ “Ecosistema urbano” redatta da Legambiente e Ambiente Italia per Il Sole 24 Ore è un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, anziché un disastro procurato all’ambiente dagli uomini che lo vivono o che lo governano, è contro ogni oggettiva valutazione dei singoli elementi di analisi. Vediamo.

  1. Ravenna dista 53 punti dalla prima classificata (nell’alto nord Italia), ma 25 dall’ultima (nel profondo sud). Paragonandoci alle città di pari condizioni economico-sociali-geografiche, ci sopravanzano largamente Bologna, Ferrara e Rimini.
  2. Siamo dalla parte dei bassifondi per l’abuso nel consumo di suolo (quart’ultimi), fonte dei danni maggiori alla qualità dell’ambiente e della vita e all’economia; sul tasso di motorizzazione (92.i per eccessività) e sugli incidenti stradali (85.i); sui rifiuti (quart’ultimi, per quantità prodotte pro-capite), sulla raccolta differenziata tanto declamata (58.i); sulla concentrazione dell’ozono (57.i) e delle polveri sottili (69.1), a maleficio dei nostri polmoni.
  3. Siamo messi male anche per dati apparentemente accettabili, come il numero degli alberi ogni cento abitanti (12.i), che non ci fa distinguere quelli di impianto recente dalla moltitudine degli antichi (peraltro in condizioni drammatiche di incuria); ma anche i chilometri dei mezzi pubblici di trasporto ogni cento abitanti, in cui siamo 47.i solamente perché il nostro numero di abitanti è enormemente diluito dall’essere il comune di Ravenna il secondo in Italia per estensione totale e il primo per aree di campagna e conseguenti case sparse. Se siamo 25.i per il verde urbano, alzi la mano chi, vivendoci accanto, è soddisfatto di come è tenuto (sfalciato, potato, pulito, attrezzato), sapendo che la sua gestione ci costa 2,8 milioni l’anno.

LA FAKE NEWS DELLE PISTE CICLABILI
Ma quanto saremmo più in fondo alla graduatoria se non ci fregiassimo, al suono delle grancasse, del 5° posto dei metri di piste ciclabili per ogni abitante, grossa fake news perché il dato non tiene conto che gli abitanti sono pochissimi in proporzione all’estensione del territorio (come già detto). Ma, nella sostanza, perché sono solo piste solo segnate sulla carta, in gran parte impercorribili o malandate, quasi tutte senza capo né coda, a meno che non si monti con la bici sui marciapiedi, non ci si avventuri nel traffico motorizzato più intenso, non ci si scontri coi pedoni, non si vada contro mano. Lo dimostra il fiume di petizioni e di istanze (tra cui quelle più inascoltate sono della Federazione italiana delle biciclette, ma numerosissime quelle di Lista per Ravenna), che rivendicano l’urgenza di piste ciclabili su tratti ove, essendocene gli spazi, ne sarebbe impensabile l’inesistenza: dentro il centro storico su via di Roma; verso il mare e le zone umide o boschive, a lato di via Trieste (in direzione Marina di Ravenna) o di via Canale Molinetto (fino a Punta Marina Terme) o sull’argine dei Fiumi Uniti (per Lido Adriano e Lido di Dante) o tra via Sant’Alberto e i lidi nord (tramite la pineta San Vitale); o di collegamento vitale tra centri abitati altrimenti inagibile su strade statali o provinciali con traffico veicolare impossibile: come tra la città e Madonna dell’Albero col suo retroterra (sull’argine del Ronco), tra Mirabilandia/Fosso Ghiaia e Classe, tra San Michele e Fornace Zarattini: tutti percorsi di un chilometro o poco più.

I nodi vengono tutti al pettine. Si spiegano anche con questa fake news sulle biciclette, oltreché con la scarsità dei mezzi di trasporto pubblico, i suddetti dati molto negativi sul tasso di motorizzazione, e quindi sugli incidenti stradali e sulla concentrazione dell’ozono e delle polveri sottili nell’aria.