Appare del tutto evidente la carenza a livello di programmazione e monitoraggio del servizio sanitario pubblico da parte della Conferenza socio-sanitaria territoriale dell’AUSL Romagna, composta dai sindaci del territorio e presieduta dal sindaco di Ravenna. Dovrebbe intervenire sulle questioni nodali della sanità, su cui dimostra però tutta la sua debolezza ed insipienza. I timori si incentrano principalmente sul graduale indebolimento, tra il 2014 e il 2020, dell’ospedale di Ravenna e della rete distrettuale, addirittura creando un nuovo maxi ospedale “romagnolo” nell’area cesenate.

La voluta mancanza di specialità distintive a Ravenna porta a migrare verso altri ospedali. Dovrebbero quindi essere rafforzate alcune branche specialistiche del distretto ravennate, quali la reumatologia e l’endocrinologia. La medicina riabilitativa dovrebbe trovare spazi ambulatoriali ed operativi più adeguati all’interno dell’ospedale ravennate. La giusta costituzione di due unità di medicina generale non assolve la mancanza della geriatria, da colmare al più presto.

Sul tema anziani, la pandemia ha messo in luce le debolezze del sistema socio-sanitario con particolare riferimento alle Case residenziali per anziani non autosufficienti (CRA), dove il numero dei decessi che si è osservato a partire da metà ottobre 2020 impone una chiara rivisitazione del sistema di accreditamento, garantendo una maggiore sinergia tra sociale e sanità, con il pieno coinvolgimento dei medici di base.

Sullo stato di avanzamento dell’avviato processo di razionalizzazione e di trasformazione che prevedeva la realizzazione delle Case della salute, con la presa in carico dei pazienti cronici da parte dei medici di medicina generale, i passi compiuti sono stati modestissimi. Avrebbero dovuto assicurare continuità nel rapporto ospedale/territorio con adeguate dotazioni strumentali e professionali, così da fornire risposte alternative al ricovero ospedaliero. Ne sono tuttavia molto lontane. Considerata l’espressa volontà del Governo regionale di investire con maggiore decisione sulla medicina territoriale e di prossimità, nonché le risorse economiche derivanti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), devono dunque essere mantenute e potenziate le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA). Va potenziata e riqualificata la Guardia Medica standard (poco più di un punto telefonico informativo) e creata una Guardia Medica Pediatrica, che alleggeriscano il Pronto soccorso durante il week end e nelle fasce notturne, dando una risposta immediata alla richieste dei pazienti di ricevere assistenza medica. Una migliore organizzazione della medicina del territorio, dotata di piccole tecnologie diagnostiche, una comunicazione più diretta ed efficace tra ospedale e territorio ed un’offerta più adeguata di servizi nelle aree più critiche concorrerebbero anch’esse a diminuire le liste d’attesa e gli accessi impropri al Pronto soccorso.

A seguito della drammatica esperienza sofferta con la pandemia da Covid, la Direzione aziendale dovrà predisporre, d’intesa col Pronto soccorso e coi reparti delle Malattie infettive e della Rianimazione, un piano di sorveglianza e cura atto a fronteggiare nel modo migliore ogni diffusione di malattie di questo tipo, potenziando i reparti e i centri operativi ed emergenziali.