La retinite pigmentosa è, in parole semplici (estratte da Wikipedia), “una malattia genetica dell’occhio…Uno dei primi sintomi consiste nella riduzione della visione di notte fino alla cecità notturna. Questo fenomeno può precedere…la perdita del campo visivo periferico…le anormalità dei fotorecettori (coni e bastoncelli) o dell’epitelio pigmentato retinico o della retina stessa portano a una graduale e progressiva perdita della vista. Gli individui che ne sono affetti accusano dapprima una difficoltà di adattamento al buio, seguita da una costrizione del campo visivo periferico…”. Una concittadina trentenne, affetta da questa malattia rara degenerativa, ha scritto a Lista per Ravenna la lettera seguente, che riproduco, per ragioni di opportunità e a tutela di ogni privacy, con modesti adattamenti formali e restrizioni.

Salve, sono ipovedente a causa di una retinite pigmentosa, mamma di una bimba che frequenta una scuola primaria pubblica del comune di Ravenna. Premetto che il corpo insegnante di mia figlia era al corrente della mia malattia. Ieri c’era l’assemblea di classe. Non riesco più a muovermi da sola soprattutto da un luogo all’aperto ad un luogo chiuso, perché i cambi di luce mi fanno vedere buio per 10 minuti buoni. Ma volevo andare all’assemblea di mia figlia come ho sempre fatto e poiché mio marito era al lavoro mi ci ha accompagnata la mia mamma, nonna della bimba. Preferisco l’aiuto di un famigliare che l’aiuto di un bastone per ciechi. L’aiuto di chi conosco mi fa sentire più sicura. Arrivate in aula ci siamo sedute. Dopo 5 minuti circa un insegnante di mia figlia, dice ad alta voce, da dietro la cattedra, rivolgendosi alla mia mamma, che deve uscire. Rispondo che la mia malattia è peggiorata e che ho bisogno di qualcuno. Interviene l’insegnante responsabile del coordinamento che si avvicina alla mia mamma e le dice, in tono pacato, che deve uscire. La mia mamma le ribadisce che non può lasciarmi da sola e che abbiamo tanto di certificati medici, ricevendo come risposta che non era una questione di certificati, ma di privacy. Io ho detto che se usciva la mia mamma sarei uscita anche io non essendo in grado di vedere. Siamo uscite. Arrivate all’auto, io e la mia mamma siamo state raggiunte dalla mamma di un compagno di classe di mia figlia, che mi ha presa sotto braccio e mi ha detto di stare tranquilla, perché mi avrebbe riportata in aula lei per partecipare all’assemblea. Sono tornata in classe e con la voce tremante dal pianto ho detto “scusate”. Mentre ero lì seduta, le luci accecanti che riflettevano sul banco mi “svarionavano” la testa e mi sono sentita male. Ero impaurita. Non ho seguito la riunione perché nella mia mente c’era un unica domanda: Quando finisce e mi devo alzare come faccio che non c’è la mia mamma o un mio caro ad aiutarmi? Nel frattempo, la mia mamma, all’esterno della scuola, avvisa telefonicamente dell’accaduto mio marito, che, dopo aver finito di lavorare, si è precipitato a scuola con la preoccupazione che io ero rimasta lì da sola in compagnia delle mie difficoltà, che lui conosce bene perché le vive insieme a me. Bussa alla porta dell’aula insieme alla mia mamma e dice alle insegnanti, con voce alta e alterata, causa l’agitazione: “Perché avete cacciato dall’aula mia suocera che mia moglie da sola non può stare?”. Si sente rispondere che c’è una normativa sulla privacy. Allora mio marito, con voce rotta, risponde: “Se è così va bene”. E se ne va insieme alla mia mamma perché doveva portare nostra figlia ad un altro impegno. Finita la riunione, una mamma mi ha presa sotto braccio per andare in corridoio, farmi sedere e votare il rappresentante di classe, ovviamente scrivendo lei per me ed io solo firmando (posso farlo ad occhi chiusi). Sono uscita poi dalla scuola con l’aiuto di un papà e di una mamma. Questa mattina mi sono recata dalla dirigente scolastica con la mia mamma, spiegandole cos’era successo e consegnandole copia del certificato della mia malattia con data di oggi. Lei mi ha detto scusa a nome delle insegnanti. Sig. Ancisi, volevo metterla al corrente in modo che quello che è capitato a me non capiti a nessun altra persona con disabilità. Già è una lotta continuare a vivere quando non si riesce a fare le cose che si facevano prima. Mi scuso per lo sfogo”.

A seguito di questa lettera, ho effettuato, a titolo personale, una verifica, da cui è risultato che, effettivamente, era già operante, in quell’ Istituto Scolastico Comprensivo, almeno dal precedente anno scolastico, un regolamento che prevede l’esclusiva partecipazione dei genitori alle assemblee di classe. Ciò non dovrebbe impedire, a fronte di un certificato medico, di autorizzare un genitore ad essere accompagnato da una persona di fiducia, come del resto avviene per l’esercizio addirittura del diritto di voto alle elezioni pubbliche. Ora che, comunque, il certificato è stato consegnato all’Istituto, non possono esserci ulteriori incomprensioni, a prescindere che l’accompagnamento sia effettuato da un familiare o da altra persona.

La materia è però tanto delicata che, potendo il problema presentarsi in ogni scuola, sembra opportuno che, per quanto riguarda il territorio di Ravenna, si giunga, su iniziativa dell’area Infanzia dell’amministrazione comunale, ad un chiarimento con l’Autorità scolastica locale, secondo cui un genitore di alunno possa essere accompagnato da persona di fiducia alle assemblee di classe in caso di necessità documentata da certificazione medica. Chiedo al sindaco, tramite l’assessore delegato all’Istruzione, se condivide questa proposta.