11/03/2018 – Va in scena, martedì e mercoledì prossimi al Teatro Alighieri, l’adattamento, ad opera di Konstantin Bogomolov, di “Delitto e castigo”, prodotto da “Emilia Romagna Teatro Fondazione (ERT)”, teatro stabile pubblico della Regione Emilia-Romagna, nell’ambito delle celebrazioni del suo quarantennale. La rappresentazione fa parte dell’abbonamento a otto titoli offerto da Ravenna Teatro. Raskòl’nikov, personaggio chiave del romanzo di Dostoevskij, è qui rappresentato da un immigrato africano, privo di qualsiasi ideologia, che uccide una donna bianca e sua figlia. Sonja, l’altra figura centrale dell’opera originaria, è la prostituta di animo puro, che qui tenta di riscattarlo convincendolo a farsi cristiano. Sono convinto che non si debba fare censura sui lavori di ricerca artistica, anche provocatori e dissacranti, qual è l’opera in questione di Bogolomov, regista tra i più irriverenti e derisori della scena russa. Lascio dunque ogni giudizio sul suo valore e qualità a chi sceglie di pagare il biglietto d’ingresso. Cedo perciò la parola alla recensione, estranea ad ogni sospetto di attentato alla libertà di pensiero, pubblicata dalla rivista Teatro e Critica in occasione della sua rappresentazione all’Arena del Sole di Bologna. Partendo dall’assunto,“cinico ma condivisibile dato di fatto”, che «il dubbio se sia giusto o meno uccidere non è più un argomento così attuale» (da un’intervista a Bogolomov), da cui consegue che “al delitto non consegue necessariamente il castigo né la pena”, Teatro e Critica riferisce però che “a determinare negli spettatori reazioni quali borbottii o esclamazioni di disgusto o anche un ‘ma che c’entra?’ sono…alcune scene che fanno riferimento a una sessualità violenta perché tenuta doverosamente a bada dalla moralità”. Questa è personificata sul palco, a sovrastare tali scene, da un “vigoroso pressante” crocifisso asessuato, “simbolo di un Dio pantocratore e di una religione asfissiante che determina il peso delle azioni degli uomini”. “Emilia Romagna Teatro Fondazione” (ERT) si definisce “un palcoscenico progettato per proprie città e con le proprie città”. Di qui, le seguenti domande rivolte al sindaco, quale rappresentante politico della città di Ravenna: 1) se ritiene opportuno che l’amministrazione pubblica a cui fa capo l’ERT abbia scelto lo spettacolo in questione come celebrativo di quarant’anni della politica culturale nella nostra regione, tenuto conto che potrebbe ragionevolmente non essere condiviso da larga parte della comunità che finanzia la Regione Emilia-Romagna stessa; 2) se ritiene che tale tipo di scelta sarebbe stata o sarebbe compiuta nel caso che, a simboleggiare l’oppressione asfissiante delle religioni sulle “azioni degli uomini”, non fosse, almeno una volta nella nostra Regione, solamente la religione cristiana, su cui peraltro si fondano le radici della civiltà occidentale: bensì, per esempio, la religione islamica (alla cui espressione di libertà di culto è stata concesso di edificare nella nostra città la seconda più grande moschea d’Italia), non sembrando essa meno influente su “azioni degli uomini” non edificanti; 3) o se, al contrario, ciò non significhi, a suo giudizio, una forma di non intrepida autocensura.